Monte Castello di Vibio e il teatro più piccolo del mondo
E’ un caratteristico borgo medievale adagiato sulla sommità di un colle a 422 metri che dall’alto si presenta a forma di cuore e che mantiene intatta la tipica struttura urbanistica del “castrum medievale”, costruito su una posizione di dominio sulla Media Valle del Tevere. Il nome del paese deriva dalla “gens Vibia”, nobile famiglia romana, che qui ebbe numerosi possedimenti. Entrando dagli accessi lungo le mura, si sale al centro storico tra stretti vicoli e vecchi edifici medievali fino all’antica Porta Maggio dalla quale si apprezza un vasto panorama che spazia sulla valle del Tevere, con vedute di incomparabile bellezza. Da vedere la chiesa di Sant’Illuminata o del Santissimo Crocifisso che affonda le sue origini nel XV secolo e dove si venera un crocifisso ligneo del ’400, la chiesa dei Santi Filippo e Giacomo del XIX secolo e la cappella della Madonna delle Carceri del XVI secolo.
Dalla terrazza di piazza Vittorio Emanuele II si può ammirare un ampio e spettacolare panorama a sud dell’Umbria fino a scorgere i monti del Lazio e dell’Abruzzo.
Nei dintorni meritano una visita i resti dell’abbazia di San Lorenzo in Vibiata, antico edificio romanico, l’abbazia di San Maria in Monte, in località Doglio, e l’oratorio di santa Maria alle Rotelle, del XVII secolo. Questa sua posizione strategica costituì un forte motivo per le ambizioni territoriali della vicina e potente città di Todi, che controllò a lungo il borgo e che in seguito alle ripetute ribellioni fu costretta ad abbatterne le mura. Nel 1303 la rocca venne ricostruita dalla stessa Todi, che la inserì nel suo sistema difensivo. Il carattere fiero dei montecastellesi continuò comunque a prevalere fino al 1596, quando Todi riuscì a consolidare definitivamente il suo potere. In epoca napoleonica conobbe un periodo di splendore, aprendosi alle nuove idee con iniziative di grande importanza. Divenne Comune dopo la seconda restaurazione pontificia del 1814.
Il colle su cui sorge Monte Castello di Vibio è abitato da più di 3000 anni. Ricerche effettuate alla fine dell’800 parlano di una necropoli risalente all’età del ferro a poche centinaia di metri dalle mura medievali, di cui attualmente però non si conosce l’ubicazione. In epoca romana, i legami del territorio con la capitale dell’Impero erano sicuramente significativi, tanto che il nome della cittadina comprende il riferimento alla famiglia etrusca, poi romanizzata, della “Gens Vibia”. Legami confermati tra l’altro dalla presenza di un’urna funeraria su cui è riportato il nome di Tertia Vibia e dal nome “San Lorenzo in Vibiata” di una abbazia (oggi rudere) che si trova poco fuori il nucleo abitato, lungo la costa del colle.
Il periodo di sviluppo più significativo comunque, può essere collocato nel Medioevo, la struttura urbanistica mantiene ancor’oggi le caratteristiche del “castrum” medievale. Molte storie si intrecciano fra le strette vie della cittadina ed i grandi centri urbani del tempo, fra battaglie, sconfitte (nel 1245 furono completamente abbattute le mura, poi ricostruite) e vittorie, arriviamo ad un altro periodo di grande importanza per Monte Castello. Nel 1808, mentre la grande rivoluzione culturale e politica che arrivava dalla Francia, conquistava l’Italia ed altri Paesi europei; nell’anno in cui Napoleone invade lo Stato Pontificio e lo annette al Regno d’Italia, a Monte Castello viene inaugurato il teatro della concordia. Nato per volere di nove famiglie locali.
Qui il modello di vita è quello che ci fa apprezzare quei valori che da altre parti sono andati perduti, la cordialità della gente, le tradizioni, l’arte, la cultura, la bellezza della natura, i sapori e i profumi che questa terra ci offre.
Nel 1960 questo contesto naturalistico è stato oggetto di osservazione da parte di un’antropologa americana, Sydel Silverman, che, nel suo libro “Tre campane di civilizzazione – La vita di un paese di collina italiano” (edito dalla Columbia University Press U.S.A.), scelse proprio Monte Castello individuandovi “il Paradiso perduto” o, meglio, un’oasi in cui si può veramente vivere secondo i ritmi della natura. Il concorso favorevole di componenti naturali quali l’aria, le correnti di tramontana e la luce, uniti all’elegante e ben conservata struttura medioevale, hanno favorito da sempre la fama di Monte Castello come insediamento ideale. Già nel 1568, Cipriano Piccolpasso, provveditore della fortezza di Perugia, incaricato da Papa Pio IV di rilevare le principali “città e castella” delle terre di Perugia, sosteneva in un manoscritto che a Monte Castello si viveva “la vita ideale”, la migliore che ci fosse perchè l’aria era salubre e che qui la gente viveva “anco cento anni e più” e “l’hommini di 80 anni paiono averne appena 35”.
TEATRO DELLA CONCORDIA
Nel cuore del paese a forma di cuore quale è la configurazione di Monte Castello di Vibio (in Umbria – provincia di Perugia) sulla sommità del suo colle, a 422 metri di altitudine si trova un inestimabile struttura: un gioiello unico “il teatro più piccolo del mondo”. Novantanove posti per sognare! Suddivisi tra i palchi e la platea. Il Teatro della Concordia è stato progettato in pieno clima post rivoluzione francese del 1789 e poi intitolato proprio a quella “concordia tra i popoli” che si andava ricreando in Europa agli inizi dell’ottocento, quando nove famiglie illustri del borgo si diedero da fare per costruire a Monte Castello un luogo di divertimenti e riunioni, un caffè salotto. La sua inaugurazione è datata 1808, in un periodo di massimo splendore culturale, quasi a volersi riscattare da parte dei Montecastellesi di secoli di vicissitudini e di dominazioni subite. Era “il bel salotto della bella Monte Castello”, lo costruirono piccolo a loro misura e a misura del suo paese”, ma – scrissero – la civiltà non si misura a cubatura né a metri quadri”. Fatto a “loro misura” (delle nove famiglie) perché ordinarono al mastro falegname costruttore che i due ordini dei palchetti fossero distribuiti su nove colonne, ma nessuno era proprietario di un palco specifico, bensì in nome della Concordia stabilirono che ogni mese scalavano nel palco a fianco in modo che tutti potevano godere della visione dai palchi centrali. La struttura dei palchetti è completamente in legno e questo gli conferisce un’ottima sonorità acustica, tanto che oggi viene utilizzato come sala di registrazione. Nel 1827 i caratanti, cioè i proprietari del teatro, fondano la società di gestione denominata “Accademia dei soci del Teatro della Concordia”. Dopo il 1850 il pittore perugino Cesare Agretti, che amava venire a villeggiare in questo luogo, fece i primi dipinti sui frontali dei palchetti, raffigurando in quello centrale al primo ordine le mani che si stringono in segno di “concordia”, e realizzò e donò al Teatro il fondale sul palcoscenico che raffigura il panorama di Monte Castello di Vibio di quel periodo. Cesare lasciò l’Umbria per andare a vivere a La Spezia, in Liguria, rimase comunque a stretto contatto con i proprietari del Teatro della Concordia e quando nel 1892, venne a sapere che sarebbe avvenuto il primo restauro del Teatro, mandò suo figlio Luigi di appena quattordici anni ad affrescare il soffitto, le due semilunette a fianco del palcoscenico, i frontali dei palchetti sul proscenio e la sala del foyer al secondo ordine. Luigi Agretti, questo “giovine venuto dal mar Tirreno”, come recita una poesia a lui dedicata per l’opera degli affreschi, ha lasciato impresso nei colori vivaci dei suoi dipinti le sensazioni della sua precoce vitalità. Egli indicò Monte Castello di Vibio come un oasi di tranquillità: infatti sulla scalinata del foyer, dipinge uno scorcio delle mura medievali e scrive: “Salve ameno colle, nostra patria”. Negli anni 1930-40 si riscontra una certa attività della filodrammatica locale, il complesso bandistico e la corale di Monte Castello di Vibio con appassionata partecipazione delle “genti del paese e della campagna”. Nel 1945 il Teatro della Concordia di Monte Castello di Vibio tiene a battesimo i primi passi di un’altra grande celebrità: si trovava qui a villeggiare l’allora giovanissima Gina Lollobrigida che recitò la parte di Corinna in “Santarellina” di Eduardo Scarpetta. Nel 1951 il teatro chiude per inagibilità. Solo nel 1981 il comune di Monte Castello di Vibio ha dato il via all’esproprio, permettendo l’attuazione dell’intervento di restauro previsto dalla Regione Umbria per il recupero dei suoi teatri storici con il fondo FIO 1984. Nel 1993, dopo sette anni di lavori (con la direzione degli architetti Paolo Leonelli e Mario Struzzi), è stata portata a termine l’opera di restauro che ha permesso di mantenere la stessa struttura lignea originale che sorregge i palchetti. Infatti alle prove di carico questa si è dimostrata pienamente rispondente ai requisiti di sicurezza. E così con il massimo rispetto agli affreschi originali si è potuto riavere un patrimonio di notevole valore architettonico, e nella sua miniatura è la testimonianza del teatro settecentesco sul modello bibienesco. Il Teatro più piccolo del mondo ? Qui a Monte Castello l’iniziativa della costruzione di un teatro in un centro di così ridotte dimensioni fu coraggiosamente presa e felicemente attuata da nove “possidenti” i quali …..”lo fecero piccolo, a misura del paese loro, ma la civiltà non si misura a cubatura ne a metri”…. (da una lettera dell’ ‘800). E’ inconfutabile che, quanto al numero complessivo dei posti, esistano anche altri teatri con meno di 100 posti come, ad esempio, i cosiddetti “teatri di corte” presenti in molte parti d’Europa. Il Teatro della Concordia di Monte Castello di Vibio è definito con lo slogan “il più piccolo del mondo” in quanto è la fedele e riuscita riproduzione in miniatura dei grandi teatri italiani ed europei. Di essi ne ricalca alla perfezione la forma con pianta a campana o “all’italiana” (definita anche goldoniana), la realizzazione interamente in legno, il tipico boccascena, le decorazioni ad affresco che interessano l’intera superficie scoperta compreso il plafone (fatto con la tecnica del “camorcanna”), la presenza del foyer affrescato, del caffè del teatro, dei camerini, della graticciata, della sala per le riunioni, dell’elegante scalone d’ingresso esterno, l’atrio e la biglietteria, la scala di accesso principale ai due ordini di palchi ed una scala secondaria. Se si aggiunge a tutto ciò le modeste dimensioni in cui è stato ricavato, la perfezione dell’acustica, la pregevolezza artistica ed architettonica, la dovizia di particolari con cui è stato costruito nel 1808, insieme alla disposizione armonica dei vari elementi e locali che lo compongono, lo slogan che gli è stato attribuito da sempre appare effettivamente il più calzante ed appropriato. Si tratta di una struttura di inestimabile valore, completa in ogni suo elemento, un esempio di gusto e proporzioni, un luogo dove si respira un senso di leggerezza e gradevolezza. Una vera e propria opera d’arte, unica, nel suo genere, nel panorama teatrale italiano ed europeo e perciò non paragonabile neppure con altri. Un’opera d’arte, che da settembre 2002 è annoverato tra le emissioni filateliche con un francobollo che lo fregia di appartenere al “patrimonio artistico e culturale Italiano”. Si riferiscono alcuni dati riportati nella Relazione tecnica redatta dai progettisti e direttori del recente restauro terminato nel 1993, gli architetti Mario Struzzi e Paolo Leonelli: Il teatro della Concordia è eccezionale perché è certamente fra i più piccoli del mondo, ma anche perché può considerarsi unico nella sua tipologia, essendo una intelligente via di mezzo fra gli allestimenti teatrali cinquecenteschi in ambienti preesistenti ed il tipico teatro all’italiana. E’ costituito dal codificato equilibrio fra i tre ambienti che lo connotano: atrio, sala, spazio scenico. Altri particolari poi concorrono a farne un piccolo gioiello ed una eccezione non tipologicamente classificabile come può facilmente farsi per i restanti teatri umbri: – le dimensioni dei tre principali spazi con superficie utile pari a: atrio mq. 29, sala mq 68, scena mq 50; – la struttura dei palchi interamente lignea, la cui cassa armonica rende alla sala la musicalità acustica; – la spazialità della platea che esalta la perimetrazione a ferro di cavallo; – la poligonale ansata dei palchetti; – la mancanza del loggione.